Intervista a Carlo Cosimi, Vice Presidente ANRA e Corporate Head of Insurance and Risk Financing Saipem

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Riportiamo qui di seguito l’intervista che Carlo Cosimi, Vice Presidente ANRA e Corporate Head of Insurance and Risk Financing Saipem – che ringraziamo – ha accettato di rilasciarci  a valle del forzato  lock down che ha interessato anche il mondo della gestione del rischio.

Mai come oggi – in relazione alla fase pandemica che ha interessato anche il nostro Paese – “fare impresa”  significa in larga parte “gestire l’incertezza e, quindi, il rischio”.

Cos’hanno significato per Lei questi terribili primi mesi del 2020, non solo nel ruolo di vice Presidente di ANRA ma anche in quello aziendale che ricopre?

Come per tutti è stata una fase completamente nuova ed inaspettata benche’ il rischio pandemico fosse già stato individuato, da diversi anni, tra i Top Risk mondiali nella speciale graduatoria del World Economic Forum.

A differenza di altre emergenze, abbiamo tutti realizzato come una pandemia si abbatta non solo sulla vita economica di un paese, ma anche sulla sfera intima e privata di milioni di persone, con implicazioni sociali importanti e con cambiamenti radicali nelle libertà e stili di vita. Non a caso in questi mesi molti osservatori hanno paragonato i costi di questa pandemia ai costi di una situazione di guerra, con la necessità di sforzi finanziari enormi per ridurre gli impatti finanziari e per garantire una ripresa rapida delle attività economiche. Per noi risk managers questo periodo ha rappresentato un vero banco di prova per le nostre capacità, con calma e realismo, abbiamo cercato di dare il massimo contributo per ridurre gli impatti nelle nostre aziende e nel supportare i vertici aziendali nella gestione della crisi, sia durante il lockdown che nella ripartenza delle attività. Non a caso la rivista Bloomberg il mese scorso ha dedicato un articolo su come il risk manager sia arrivato ormai al cuore dei processi decisionali aziendali (Bloomberg : “Risk Manager is suddenly a hot job”).

Nel Suo percorso professionale ha attraversato anni in cui la cultura del risk management, anche all’interno di grandi realtà industriali, stava compiendo i primi passi e non era previsto alcun  percorso formativi universitario o post universitario mirato, attraverso quali esperienze ha potuto maturare le esperienze che l’hanno portata nell’importante ruolo oggi rivestito in quello che, sin dai mitici anni 60, è uno dei veri  e primari gruppi industriali multinazionali italiani?

Una volta a questa professione ci si arrivava senza uno specifico percorso di studi, talvolta quasi per caso e sempre da esperienze e competenze acquisite sul campo. Questa è una professione che non richiede una sola competenza specifica ma ne richiede diverse contemporaneamente. In ANRA abbiamo professionisti con lauree in legge, ingegneria, economia e umanistiche, questo proprio perché la lettura e l’interpretazione di un rischio inizialmente deve essere alta, “olistica”, quasi visionaria e provocatoria nell’interazione con il sistema azienda e l’ambiente esterno, e solo successivamente messa a terra, misurata e gestita. Oggi rispetto al passato ci sono percorsi formativi universitari specifici che forniscono importanti conoscenze trasversali tra queste materie e, inoltre, c’è una maggiore consapevolezza sulle opportunità offerte dalla professione.

Io come molti Risk Managers della mia generazione, siamo nati direttamente sul campo, ma abbiamo la soddisfazione di aver lavorato il terreno e seminato cultura di gestione del rischio nelle aziende che i più giovani raccoglieranno. Sono arrivato in questa professione dalla finanza passando per le assicurazioni captive e la riassicurazione, in anni in cui il rischio si percepiva nelle aziende come tale solo se assicurabile altrimenti era quantomeno “inopportuno” parlarne, figuriamoci mapparlo.

Se non andiamo errati nel corso della Sua vita professionale è passato anche “dall’altra parte della barricata” del trasferimento del rischio, andando a operare in una compagnia di assicurazioni e riassicurazioni ? Cosa ha rappresentato per Lei questo passaggio?

L’esperienza fatta nella captive, che è una compagnia di assicurazione su scala ridotta, mi ha permesso di entrare nelle logiche di processo, di linguaggio  e di bilancio, ma anche di acquisire la cassetta degli attrezzi tecnici dell’assicurazione e della riassicurazione. Le compagnie di assicurazione, come quelle bancarie, hanno delle specificità e delle normative completamente diverse dalle imprese industriali. Per me è stata una sfida ed una esperienza molto importante che mi ha permesso di cambiare logiche e punti di vista intorno al rischio, guardandolo sia da assicurato che da assicuratore.

Come tutti noi, oltre al ruolo aziendale e associativo ricoperto si è trovato a vivere l’esperienza di Utente/Cliente del mondo assicurativo  per rispondere al fabbisogno personale di sicurezza : come ha vissuto  questa customer experience e quali aree di miglioramento identifica all’interno della filiera assicurativa ? che ruolo potrà giocare l’Insurtech nei confronti di un’ Utenza privata e corporate sempre più digitalizzata?

Questa situazione di necessità ha sicuramente mutato i nostri stili di vita e le nostre modalità di acquisto di prodotti e servizi. Ci siamo ritrovati di colpo a comprare quasi esclusivamente online, ad utilizzare nuove piattaforme digitali e app. Anche la customer experience nel campo assicurativo è destinata a cambiare verso delle soluzioni sempre più efficienti ed appaganti per il consumatore. L’Insurtech avrà un ruolo fondamentale e gli assicuratori ed intermediari più smart ed innovativi prenderanno una posizione di leaders nei prossimi anni. L’assicurazione in futuro, specie per quelle del segmento di mercato retail, sarà flessibile e a consumo, spesso già integrata ad un prodotto o servizio acquistato. Più complesso e sfidante sarà invece il segmento del mercato corporate dove la ricerca della customizzazione dell’assicurazione dovrà coniugarsi con l’offerta di contratti digitali (dal “Taylor Made” all’ “Insurance smart contract) magari basati su tecnologia blockchain.

L’emergenza Coronavirus ha rappresentato sicuramente un rischio ma anche una grande opportunità di rivedere i nostri stili di vita ed i modelli di business che dovranno inevitabilmente evolvere.  L’abbiamo vista anche impegnata in prima persona , durante il lockdown, nella conduzione di  webinar che si sono imposti quali nuova  e seguitissima modalità di relazione.

L’essere umano è un animale sociale e nella necessità ha trovato nuovi modi, digitali in questo caso, per comunicare, socializzare, condividere ansie e paure ma anche ritrovare ottimismo e reattività. Le piattaforme per organizzare webinar esistevano già da qualche anno ma la maggior parte di  noi se n’è accorta  soltanto adesso, appunto nella necessità. L’emergenza vissuta ha permesso l’accelerazione digitale di tutti noi e credo che tutte queste forme di comunicazione digitale non solo rimarranno nella nostra vita, ma saranno ulteriormente sviluppate. Credo che nella nuova normalità  utilizzeremo un mix tra le tradizionali forme di relazione diretta e fisica con quelle nuove e digitali.

Che lezioni abbiamo imparato da  questa esperienza? Cosa rimarrà, a Suo avviso, nel nostro vissuto di privati cittadini e di uomini di azienda quando questo imprevedibile anno bisestile sarà solo un ricordo?

Abbiamo imparato tante cose. Come Risk Managers che i rischi, tanto meno attesi sono, tanto più alta è la loro minaccia, dovuta all’impreparazione nella loro gestione. Molti rischi benchè opportunamente mappati sono ritenuti erroneamente “teorici”, in quanto mai sperimentati, e quindi sottovalutati dalle aziende. Quante volte ciascuno di noi si è sentito ripetere “…ma non era mai successo prima..”. Questi rischi possono diventare mortali per le aziende che continueranno ad avere approcci simili.

Le aziende in Europa dal secondo dopoguerra in avanti hanno vissuto esperienze di shock correlati a fenomeni soprattutto di natura economica e monetaria. Questa volta lo shock è stato prodotto dalla manifestazione di un rischio sistemico. A mio modo di vedere le aziende devono alzare il tiro delle loro difese e diventare più resilienti ai rischi sistemici che non sono soltanto le pandemie. Non bastano più solo le coperture assicurative a proteggere il sistema azienda ma occorre un salto ulteriore nel processo di gestione del rischio. In futuro le aziende di successo non competeranno più solo sul fatturato o soltanto sul taglio dei costi ma sulla loro capacità di resilienza, ovvero sulla loro capacità di gestire i rischi in modo più efficace ed efficiente rispetto ai concorrenti.

Da qui il ruolo centrale del sistema di Enterprise Risk Management che diventerà sempre più cabina di regia per la strategia dell’azienda di successo. Per questo ANRA si proporrà sempre più come motore e cinghia di trasmissione del cambiamento culturale in atto nelle aziende di ogni dimensione.